Article 26 gennaio 2020

Trombosi arteriosa e venosa: due facce della stessa medaglia?

Danilo Ruggeri

Si è soliti considerare trombosi arteriosa e trombosi venosa come due mondi diversi, separati dalla clinica e da meccanismi fisiopatologici differenti. Ma è davvero così? Alla luce di molte ricerche condotte forse bisogna riconsiderare questo dualismo. 

Trombi fibrinici si riscontrano nell’atrio sinistro di pazienti con fibrillazione atriale ma anche nelle coronarie di pazienti con infarto miocardico e così è un dato di fatto che gli anticoagulanti orali risultino efficaci tanto nella prevenzione dell’embolia arteriosa provocata da un atrio fibrillante quanto nella prevenzione e nel trattamento della cardiopatia ischemica (1,2). Analogamente gli antiaggreganti piastrinici sono stati utilizzati con successo nella prevenzione del tromboembolismo venoso, anche se con una efficacia inferiore a quella degli anticoagulanti (3).

L’ipotesi dell’esistenza di una associazione

La potenziale associazione tra malattia tromboembolica venosa e aterosclerosi è stata proposta e descritta per la prima volta da Prandoni e colleghi dell’università di Padova, che nel 2003 hanno pubblicato sul New England Journal of Medicine un lavoro condotto su 300 pazienti consecutivi con TVP, dal quale emergeva come la presenza di placche aterosclerotiche carotidee fosse significativamente maggiore nei soggetti con tromboembolismo venoso (TEV) spontaneo (o idiopatico) rispetto a quelli con TEV secondario (47,1%, IC95% 39,1-55,0 vs 27,4% IC 95% 20,2-34,6,) (fig. 1). Gli autori concludevano sottolineando la presenza di un’associazione tra malattia aterosclerotica e trombosi venosa idiopatica (4).

  • Figura 1 - Frequenza di placche carotidee in sog- getti con TVP spontanea, TVP secondaria e controlli. Modificato da ref 4.

Qualche anno dopo, uno studio di Becattini e colleghi su 360 pazienti con embolia polmonare (209 con una forma idiopatica e 151 con una forma associata a fattori di rischio transitori) ha mostrato dopo un follow-up medio di 38 mesi una maggiore frequenza di eventi cardiovascolari (Ima e ictus) nei soggetti con EP idiopatica rispetto a quelli con EP secondaria (RR 2.0; 95% CI 1.20–3.34; P 1⁄4 0.006) (fig. 2) (5).

  • Figura 2. Eventi CV (IMA, stroke) più frequenti nei pazienti con EP “idiopatica” che nei pazienti con EP associata a fattori di rischio transitori. Modificato da ref 5.

Un’ulteriore dimostrazione dell’associazione tra la trombosi arteriosa e quella venosa viene da uno studio di Hong e colleghi che hanno indagato la presenza di calcificazioni coronariche alla TAC polmonare eseguita in 385 pazienti con TEV (6). Le calcificazioni coronariche sono un marker della presenza e dell’estensione della malattia coronarica (CAD) e sono associate all’aterosclerosi sistemica. Gli autori hanno rilevato calcificazioni coronariche con frequenza più elevata nei soggetti con TEV  che nei soggetti di controllo (51,7% vs 28,1%, p=0,001). Per gli autori, l’associazione tra TEV e CAD suggerisce che la CAD sia un fattore di rischio indipendente per il TEV. Lo studio ha riscontrato che diabete e ipertensione sono fattori indipendenti di rischio di TEV. 

Una review sistematica e metanalisi condotta da Becattini e collaboratori su 17 studi che, in una popolazione complessiva di 55.937 pazienti, hanno riportato eventi cardiovascolari arteriosi sul lungo periodo dopo un episodio di TEV dimostra che i pazienti con TEV non provocato hanno un rischio di 1,5 volte maggiore di eventi cardiovascolari arteriosi rispetti ai controlli (7)

Aterosclerosi e malattia tromboembolica venosa sembrano dunque in base a diversi studi condividere numerosi fattori di rischio. Una metanalisi di Ageno e colleghi supporta questa ipotesi, documentando come alcuni fattori di rischio tradizionali di aterosclerosi come età avanzata, obesità, diabete, ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia giochino un ruolo importante nel promuovere anche il rischio di tromboembolismo venoso (8).

Le possibili interpretazioni

Come interpretare questa associazione? Secondo Prandoni l’aterosclerosi ha la potenzialità di indurre disordini trombotici nel settore venoso: l’aterosclerosi, infatti, si associa all’attivazione delle piastrine e dei fattori della coagulazione oltre che a un aumentato turnover della fibrina (4). Nel momento in cui le piastrine ed i fattori attivati della coagulazione raggiungono circolando distretti a basso flusso come il distretto venoso periferico possono favorire lo sviluppo di un processo trombotico. 

Lo sviluppo di disordini tromboembolici sia nel settore venoso sia in quello arterioso è favorito in diverse condizioni, ad esempio l’iperomocisteinemia, il fattore V Leiden e la mutazione della protrombina, la sindrome da anticorpi antifosfolipidi, il fattore VIII:C, le malattie mieloproliferative e più in generale le malattie neoplastiche, la chemioterapia, l’emoglobinuria parossistica notturna, le infezioni da Clamydia Pneumoniae e da HIV, l’insufficienza renale cronica, le terapie ormonali (9).

In diversi studi la frequenza di complicanze aterotrombotiche nel follow-up di pazienti con tromboembolismo venoso è risultata superiore a quella di popolazioni di controllo senza trombosi venose (10-12). 

I risultati di questi studi suggeriscono che i soggetti con complicanze tromboemboliche venose, soprattutto se idiopatiche, siano esposti ad un rischio di eventi aterosclerotici in misura superiore rispetto a popolazioni di controllo. D’altronde è stato documentato come la sindrome metabolica nel suo insieme e i suoi componenti principali considerati singolarmente predicano un’insorgenza precoce di TEV idiopatico (13).

Resta ancora da stabilire se trombosi venosa ed arteriosa siano due facce della stessa medaglia, la cui espressività sul piano clinico si determini in tempi e modi variabili, in parte geneticamente determinati, in parte sotto la spinta di fattori quali l’età, lo stile di vita, lo sviluppo di comorbilità e fattori intercorrenti. 

Le implicazioni

I riscontri degli studi condotti hanno però potenziali ricadute perché i pazienti con TEV potrebbero essere sottoposti a indagini diagnostiche mirate a valutare l’esistenza di danni di natura aterosclerotica nel circolo arterioso ancora asintomatici, in modo da poter intervenire precocemente sulla storia naturale dell’aterosclerosi attraverso misure dietetiche e/o farmacologiche, di prevenzione e di controllo dei fattori di rischio. Al proposito è stato documentato come le statine riducano il rischio di TEV sintomatico in soggetti apparentemente sani (14). 

Tra i meccanismi postulati esercitati dalle statine vi sono la down-regulation nella sintesi di fattore tissutale, la riduzione dei livelli trombina, la minore attivazione del fattore V e VII. Alcune ricerche hanno poi documentato la capacità dell’acido acetilsalicilico a basso dosaggio - 100 mg/die per almeno due anni - di ridurre il rischio di recidive tromboemboliche venose in soggetti con tromboembolismo idiopatico che avevano assunto warfarin per i primi 6-12 mesi (15,16). In base alle evidenze disponibili,  sembra dunque sempre più evidente che  circolazione arteriosa e venosa non condividano solo una continuità anatomica ma anche stati di malattia.  

Bibliografia

1 Kirchhof  P et al. 2016 ESC Guidelines for the management of atrial fibrillation developed in collaboration with EACTS Eur Heart J 2016;37:2893–2962 

2 Ibanez B et al. 2017 ESC Guidelines for the management of acute myocardial infarction in patients presentingwithST-segmentelevation  Eur Heart J  2017;00:1–66 

3 Warkentin TE. Aspirin for dual prevention of venous and arterial thrombosis. N Engl J Med. 2012; 367: 2039-2041. 

4 Prandoni P, Bilora F, Marchiori A et al. An Association between Atherosclerosis and Venous Thrombosis. N Engl J Med 2003;348:1435-4.

5 Becattini C, Agnelli G, Prandoni P et al.  A prospective study on cardiovascular events after acute pulmonary embolism Eur  Heart J  2005;26:77–83.

6 Hong C, Zhu F, Du D, et al. Coronary artery calcification and risk factors for atherosclerosis in patients with venous thromboembolism.Atherosclerosis. 2005 Nov;183(1):169-74.

7.  Becattini C, Vedovati MC, Ageno W et al. Incidence of arterial cardiovascular events after venous thromboembolism: a systematic review and a meta-analysis. J Thromb Haemost. 2010 May;8(5):891-7. 

8 Ageno W, Becattini C, Brighton T, et al. Cardiovascular risk factors and venous thromboembolism: a metaanalysis. Circulation. 2008; 117: 93-102. 

9 Prandoni P. Venous and arterial thrombosis: two aspects of the same disease? Clin Epidemiol 2009;1:1-6. 

10 Prandoni P, Ghirarduzzi A, Prins MH, et al. Venous thromboembolism and the risk of subsequent symptomatic atherosclerosis. J Thromb Haemost. 2006; 4: 1891-1896. 

11 Bova C, Marchiori A, Noto A, et al Incidence of arterial cardiovascular events in patients with idiopathic venous thromboembolism. A retrospective cohort study. Thromb Haemost. 2006; 96: 132-136. 

12 Spencer FA, Ginsberg JS, Chong A, Alter DA. The relationship between unprovoked venous thromboembolism, age, and acute myocardial infarction. J Thromb Haemost. 2008;6:1507-1513.

13 Di Minno MN, Tufano A, Guida A, et al. Abnormally high prevalence of major components of the metabolic syndrome in subjects with early-onset idiopathic venous thromboembolism. Thromb Res. 2011 Mar;127(3):193-7.

14 Glynn RJ, Danielson E, Fonseca F. et al. A Randomized Trial of Rosuvastatin in the Prevention of Venous Thromboembolism. N Engl J Med 2009;360:1851-61. 

15 Becattini C, Agnelli G, Schenone A, et al.. Aspirin for preventing the recurrence of venous thromboembolism. N Engl J Med. 2012; 366: 1959-1867. 

16 Brighton TA, Eikelboom JW, Mann K, et al. Low-Dose Aspirin for Preventing Recurrent Venous Thromboembolism. N Engl J Med. 2012; 367: 1979-1987. 

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