Article 12 settembre 2022

Macrofagi e metaboliti del colesterolo: un passo in più in oncoematologia

Il microambiente tumorale è in grado di modificare profondamente la natura e la crescita del tumore, differenziando la risposta alle terapie nei vari individui. Un gruppo di ricerca dell’Istituto Tumori Giovanni Paolo II di Bari ha analizzato la risposta dei macrofagi – cellule immunitarie importanti nella caratterizzazione del microambiente – ai metaboliti del colesterolo, confermando l’esistenza di una reale correlazione.

Quando si parla di tumore non si può non parlare anche di “microambiente”.
Esso viene inteso come l’ambiente cellulare ed extra-cellulare attorno al quale esiste e si sviluppa il tumore ed è costituito da diversi elementi, quali, ad esempio, vasi sanguigni e cellule immunitarie, che vanno a determinare l’eterogeneità del tumore.
Il concetto di microambiente non è nuovo: probabilmente fu introdotto già nella seconda metà dell’Ottocento da Rudolf Virchow, che parlò di una relazione tra infiammazione e cancro, e Stephen Paget, che espose la teoria del “seed and soil” (seme e terreno), secondo la quale una cellula tumorale (il seme) per attecchire ha bisogno di un ambiente (il terreno) favorevole.
Dunque, come sostenuto e dimostrato da studi e scienziati successivi, l’ambiente che circonda il tumore impatta inevitabilmente sulla capacità delle cellule tumorali stesse di crescere e di diffondersi, così come è in grado di modificare la risposta alle terapie.

Nell’ambito del linfoma non-Hodgkin e, nello specifico, quello a grandi cellule, è molto importante caratterizzare il microambiente per la stratificazione dei sottogruppi di malattia.
A tal proposito, un gruppo di ricercatori del laboratorio di ricerca di diagnostica ematologica e caratterizzazione cellulare dell’Istituto Tumori Giovanni Paolo II di Bari ha condotto uno studio, in collaborazione con l’unità di emolinfopatologia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e l’Hospital Clinic di Barcellona, per approfondire la correlazione tra microambiente e DLBCL (linfoma diffuso a grandi cellule B). I risultati ottenuti da questo studio confermano alcune delle intuizioni su cui i ricercatori lavorano già da anni. In questo filone di ricerca, in particolare, il focus è stato incentrato sui macrofagi, le cellule “spazzino” che si aggirano intorno alle cellule tumorali e che sono le principali cellule deputate alla loro uccisione ed eliminazione. Il motivo principale per aver scelto di concentrarsi sullo studio di queste specifiche cellule del sistema immunitario è che la funzione dei macrofagi cambia da persona a persona e ciò dipende da quanto siano più o meno reattivi, il che influisce sulla capacità degli individui di rispondere ai farmaci.

In studi precedenti, infatti, non condotti sui tumori, era stato già dimostrato come la funzione dei macrofagi fosse influenzata dalla concentrazione di alcuni metaboliti del colesterolo e, pertanto, questa correlazione è stata approfondita anche in questo tipo di tumore.

Lo studio, pubblicato su Hematological Oncology, ha sorprendentemente rivelato che il metabolismo dei lipidi e del colesterolo è in grado di modulare la polarizzazione e la risposta infiammatoria dei macrofagi nel linfoma diffuso a grandi cellule B.
Nello specifico, sembrerebbe che la concentrazione di ossisteroli – ossia, le molecole più piccole derivanti dalla trasformazione di una più grande molecola di colesterolo – sia in grado di influenzare il comportamento dei macrofagi e, quindi, la loro capacità di combattere il tumore. Queste cellule immunitarie, infatti, esprimono dei recettori intracellulari, chiamati recettori LXR, che vengono attivati a varie concentrazioni di steroli. Nello specifico, esistono due isoforme del recettore LXR: LXRα e LXRβ.

Quello che gli studiosi hanno osservato è che i pazienti con un’alta espressione del gene NR1H3 (il gene che codifica per il recettore LXR) hanno macrofagi con maggiore attività antinfiammatoria e, dunque, rispondono meglio alle terapie antitumorali. Al contrario, pazienti con livelli più bassi di espressione del gene NR1H3 mostrano una sopravvivenza inferiore, indipendentemente dai pronostici standard. Queste osservazioni possono essere ulteriormente validate con la tecnologia NanoString, che consente un’analisi dell’espressione genica con un processo quasi del tutto automatizzato, per cui non è necessario ricorrere ad un’indagine invasiva aggiuntiva.

Questa scoperta è molto importante, poiché aprirebbe la strada a nuove terapie mirate per i pazienti affetti da linfoma non-Hodgkin, agevolando la personalizzazione della cura. I ricercatori intendono, comunque, sottolineare che, ad oggi, non siamo ancora in grado di associare i livelli di colesterolo, che possiamo misurare facilmente nel sangue, con l’evoluzione della malattia e la sua consequenziale risposta alle terapie. Soltanto con ulteriori studi sarà possibile comprendere a pieno il preciso meccanismo di correlazione tra macrofagi e colesterolo.

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