Article 30 giugno 2023

Nuovi orizzonti nell’HCV: la strada verso l’eliminazione

Giornata di approfondimento dedicata all’HCV che ha visto la partecipazione dei maggiori esponenti nazionali ed internazionali in materia. La continua collaborazione di tutti gli attori coinvolti nel trattamento dell’HCV e delle persone che ne sono affette è fondamentale per il raggiungimento dell’ambizioso obiettivo dell’eliminazione dell’infezione entro il 2030

Il 16 maggio 2023 si è tenuto presso l'Hotel Enterprise di Milano il congresso sull’HCV (virus dell’epatite C), "New horizons in HCV, completing the elimination path", presieduto da Alessio Aghemo, Professore Ordinario di Gastroenterologia e Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Humanitas University, Milano, e da Ivan Gentile, Professore Ordinario di Malattie Infettive, Università degli Studi “Federico II”, Napoli e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive, Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II”, Napoli.

Punto di partenza è l'appello lanciato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l’eliminazione globale del virus dell’epatite C entro il 2030 e lo scopo di questa giornata è stato discutere la fattibilità di questa sfida sanitaria a livello mondiale, di quali siano le best practice da seguire per raggiungere l’obiettivo e di inquadrare la situazione italiana rispetto al panorama mondiale in termini di obiettivi raggiunti e futuri.

L’infezione da virus dell’epatite C è una delle principali cause di malattia epatica cronica, con più di 58 milioni di individui cronicamente infetti in tutto il mondo e con oltre 1,5 milioni di nuovi casi ogni anno; si stima inoltre che siano oltre 3,2 milioni i bambini e gli adolescenti con infezione cronica.

Questo virus può diffondersi attraverso il sangue contaminato; detenuti e soggetti PWID (people who inject drugs, persone che fanno uso di droghe per via iniettiva) sono quindi tra le popolazioni a più alto rischio di infezione, ma un serbatoio di pazienti positivi è anche la popolazione anziana, infettata magari da decenni per pratiche sanitarie scorrette e rimasta asintomatica.

Se l'eradicazione del virus a livello mondiale è un obiettivo comune, le singole nazioni si stanno muovendo in questa direzione, pur con le diversità connesse alla percentuale di popolazione infetta, alla tipologia di pazienti e anche alle condizioni politiche del singolo Stato.

Ad aprire l’evento Graham Foster, Professore di epatologia presso la Queen May University (Londra) il quale nel 2016 è stato appuntato nel ruolo di National Clinical Chair for the Hepatitis C Delivery Networks and NHS England’s Hepatitis C (HCV) Elimination Programme. Il suo intervento ha portato alla luce i problemi e le difficoltà di perseguire un obiettivo simile in Europa, dove il numero di persone affette dal virus dell'Epatite C è poco conosciuto.

Basandosi sull'epidemiologia e la prevalenza di malattia presente nel Regno Unito in generale e nella Est London in particolare, il Prof. Foster ha evidenziato come lo screening dovrebbe rivolgersi in primo luogo alle popolazioni con un rischio più elevato di infezione e progressione della malattia, come i tossicodipendenti e i detenuti, nonché gli anziani. Inoltre, nella sua esperienza, in questi contesti il coinvolgimento di peers, ovvero persone appartenenti a quella categoria di rischio e che hanno già intrapreso quel percorso di cura, ha avuto molto successo.

Chiude il suo intervento con una nota positiva, sostenendo che il virus dell'Epatite C si può eliminare. Per raggiungere questo obiettivo sarà sempre più importante fare informazione e rendere facile l’accesso ai test e alle cure.

Il resto della giornata è stato suddiviso in diversi simposi, ciascuno incentrato su una tematica di interesse. Il primo simposio, intitolato “The Italian HCV elimination program” e moderato dai due direttori scientifici, ha analizzato la situazione nel nostro Paese. Grazie alle politiche sanitarie condotte da decenni a sostegno dei pazienti con infezione da HCV e al principio di universalità dell'accesso alle cure sanitarie, nel 2018 l'Italia è stata uno dei 12 Paesi definiti in linea con il raggiungimento dell'obiettivo di eliminazione dell'HCV fissato dall'OMS al 2030. L'emergenza COVID-19 ha influito su questa tendenza, con molti Paesi, tra cui l'Italia, che non sono più classificati come "on track" in questo percorso. Di fatto, con l’arrivo della pandemia il trattamento di patologie epatiche legate all’HCV e lo screening sulla popolazione hanno subito una grossa battuta d’arresto. Si stima che a livello mondiale, nel solo anno 2020, causa una riduzione del 50% del dosaggio dell'HCV-RNA, manchino all'appello circa 800.000 diagnosi, con una distribuzione abbastanza omogenea tra i differenti paesi e i diversi sistemi sanitari. Inoltre, se finora in Italia sono stati trattati complessivamente circa 250.000 pazienti, è vero che da maggio 2020 a fine 2022 i pazienti trattati sono stati trattati circa 30.000, un numero paragonabile ai trattamenti di un singolo anno in periodo pre-pandemico.

Dal periodo pandemico sono derivati anche aspetti positivi ovvero una maggior sensibilità pubblica verso le malattie infettive, la possibilità di organizzare screening opportunistici su larga scala (es. il test per l’HCV avrebbe potuto essere fatto su larga scala in concomitanza della vaccinazione per Covid-19) e lo sviluppo di strumenti (dai laboratori di analisi alla telemedicina) che possono risultare utili per il progetto di eliminazione dell’HCV.

Per valutare l'efficacia degli interventi si utilizzano spesso modelli, che possono essere contestati e contestabili ma che al momento sono la sola arma a disposizione per cercare di valutare la situazione, dal momento che non sono disponibili dati real life che identificano con certezza la prevalenza della malattia; a questo tema ha dedicato parte del suo intervento la Prof.ssa Loreta Kondili, Center for Global Health, Istituto Superiore di Sanità.

L'Italia è il paese che nel 2016, ma probabilmente anche negli anni successivi, ha avuto il maggior numero di morti HCV-correlati rispetto a tutti i paesi europei, con una diffusione nella popolazione generale molto più alta rispetto ad altre nazioni. Siamo anche il paese con il numero più elevato di pazienti trattati, grazie alla politica sanitaria del trattamento universale. L'efficacia del trattamento si può osservare analizzando il trend dei ricoveri per cirrosi da epatite C, trend negativo a partire dal 2015, a differenza di quello da malattia alcolica del fegato.

Aver trattato oltre 250.000 pazienti (55.000 nel 2018 e 35.000 nel 2019) e continuandone a trattare ogni anno 10-15.000, sta ponendo il problema di migliorare comunque lo screening dei casi non ancora identificati. Gli screening di massa sono infatti difficili da organizzare.

Secondo i modelli attuali, sono quasi 400.000 i pazienti che devono essere ancora diagnosticati; di questi, una parte sono pazienti diagnosticati ma che non sono stati comunque ancora avviati al trattamento.

La Dr.ssa Sabrina Valle, Ministero della Salute, General Directorate for Health Prevention ha presentato il piano di screening nazionale sulla popolazione target i cui fondi sono disponibili già dal periodo pre-pandemia e che verranno prorogati al fine di sfruttare al massimo questa opportunità per far emergere il sommerso.

A livello di opzioni terapeutiche disponibili, con l’avvento dei DAA (Direct Acting Antiviral, agenti antivirali ad azione diretta) sono stati compiuti dei passi da gigante nel trattamento del virus dell’epatite C. Su questo tema e in particolare sulla gestione dei pazienti difficili da trattare, si è incentrato il secondo simposio, moderato dal Professor Pietro Lampertico e dal Professor Pierluigi Toniutto, nel quale, tra le soluzioni di trattamento disponibili, quello di breve durata (short-therapy) risulta essere efficace e con un buon profilo di sicurezza. Nel paziente anziano, invece, la polifarmacia e le comorbidità sono molto frequenti; tuttavia, i trattamenti con DAA sembrano avere buoni profili di efficacia e sicurezza anche in questa popolazione e la maggior parte delle interazioni farmacologiche prevedibili può essere gestita nella pratica clinica.

In generale, si può dire che negli ultimi anni l'introduzione di agenti antivirali ad azione diretta ha fornito un'efficace opzione terapeutica in grado di eradicare l'HCV nella stragrande maggioranza dei pazienti, producendo tassi di guarigione molto più elevati rispetto a quelli osservati con i regimi di interferone e ribavirina solo pochi anni fa. La continua evoluzione delle terapie e la disponibilità delle attuali soluzioni stanno portando il tasso di successo del trattamento sempre più vicino al 100%, contribuendo a rendere ogni giorno più raggiungibile l'obiettivo mondiale di eliminazione dell'HCV.

Il terzo simposio, moderato dal Professor Massimo Puoti, verteva sulla discussione di possibili modelli adottati nei diversi Paesi del mondo per il trattamento e l’eliminazione dell’HCV nei pazienti PWID. Il consumo di sostanze per via iniettiva è oggi responsabile della maggior parte delle nuove infezioni da HCV. Infatti, si stima che un singolo paziente PWID affetto da HCV, se non trattato, in media contagi altre 20 persone nei primi 3 anni dalla diagnosi. Di che cosa c’è bisogno per curare queste persone e ridurre dunque la trasmissione del virus? Nonostante le differenze tra i vari Paesi, il messaggio comune è: easy testing, easy treatment and support. In sostanza, è necessario raggiungere queste persone, dare loro la possibilità di essere testate in maniera rapida e semplice e, in caso di bisogno, fornire loro una cura di durata più breve possibile (short-therapy), idealmente fornendo la terapia nella stessa occasione, di modo che non vi sia necessariamente bisogno di un secondo contatto. È molto importante, inoltre, superare lo stigma sociale associato a questa malattia e cercare di organizzare programmi di formazione per aumentare la consapevolezza riguardo all’infezione causata da HCV e alle possibili conseguenze, oltre che in merito ai percorsi di cura disponibili.

Un’altra modalità di trasmissione dell’HCV è quella verticale, che è responsabile della maggior parte dei casi di positività al virus in età pediatrica. La raccomandazione, secondo le linee guida EASL aggiornate al 2020, era quella di fare uno screening a 18 mesi a tutti i bambini di madre positiva all’HCV, con il trattamento consigliato agli adolescenti e possibile nei bambini di età compresa tra 3 e 11 anni; se si analizzano però le linee guida AASLD-IDSA aggiornate al 2022, si consiglia di trattare tutti i bambini e adolescenti che risultassero ancora positivi dopo i 3 anni, soprattutto in presenza di comorbidità o di fibrosi più severe.

Un auspicio in conclusione dell’intervento del Professor Massimo Colombo, che ha riproposto la timeline delle tappe che hanno portato dalla scoperta del virus dell’HCV ad oggi.

In sintesi, dal convegno emerge come il quadro della situazione sia profondamente cambiato negli ultimi anni, grazie alle terapie a disposizione che hanno consentito di pianificare l'eradicazione del virus a livello mondiale. La pandemia da Covid ha fatto segnare una battuta di arresto che obbliga però le nazioni a una nuova accelerata per recuperare il tempo perso per mantenere l’obiettivo definito dal WHO della completa eliminazione entro il 2030.

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