Il consenso informato in ambito sanitario è una tematica che molto spesso presta il fianco a fraintendimenti, sia da parte dei pazienti, sia da parte dei medici

Il consenso informato in ambito sanitario è una tematica che molto spesso presta il fianco a fraintendimenti, sia da parte dei pazienti, sia da parte dei medici.

Molti pazienti percepiscono infatti la sottoscrizione del modulo di consenso informato, magari, poco prima di entrare in sala operatoria, e senza nemmeno averne letto e compreso il contenuto, come un escamotage messo in campo dai medici e dalle strutture sanitarie per liberarsi da ogni obbligo risarcitorio nel caso in cui, a seguito dell’intervento, qualcosa dovesse andare storto. Non è raro sentire parlare i pazienti di liberatoria.

D’altro canto, molti medici vivono gli obblighi correlati alla sottoscrizione del modulo di consenso informato come adempimenti meramente burocratici e che, quindi, appesantiscono oltremodo l’attività professionale quotidiana, già di per sé piuttosto frenetica ed impegnativa; taluni medici sono invece in linea con il pensiero dei pazienti e credono pertanto che il modulo, con la descrizione delle complicanze correlate al trattamento proposto alla persona assistita, possa scongiurare ex se future pretese risarcitorie.

In realtà, la sottoscrizione del modulo di consenso informato altro non è che l’atto conclusivo di un iter di informazione che ogni sanitario dovrebbe esaustivamente garantire ai propri pazienti. E’infatti solo dopo aver valutato tutte le informazione ricevute dal medico, che i pazienti possono decidere, in maniera libera e consapevole, se autorizzazione o meno un trattamento sanitario.

La sottoscrizione del modulo, all’esito di una corretta informazione, non rappresenta pertanto un mero obbligo di legge, privo di sostanza, ma costituisce -al contrario- l’espressione di diritti fondamentali della persona, per il paziente, oltre che l’espressione della professionalità e dell’autonomia del medico.

Un’informazione completa, aggiornata e comprensibile assicura dunque, da un lato, il corretto esercizio dell’autonomia decisionale del paziente e dunque del suo diritto autodeterminarsi liberamente, ma tutela, nel contempo, anche l’autonomia professionale, la competenza e la responsabilitàdegli esercenti la professione sanitaria, così come sancito dall’art. 1 della L. 219/2017.

A livello risarcitorio, il c.d. danno da mancato consenso informato costituisce un danno autonomo e distinto rispetto al danno alla salute e per questo dovrà essere oggetto di specifica domanda da parte del paziente.

Muovendo da queste premesse, cerchiamo ora di chiarire quando, come ed entro quali limiti il paziente può richiedere il risarcimento del danno da lesione del proprio diritto all’autodeterminazione.

Al riguardo, la giurisprudenza ha indicato un presupposto necessario ed indefettibile per ottenere il risarcimento dello specifico danno da omessa/insufficiente informazione, ossia la prova positiva da parte del paziente che, se correttamente informato sui rischi e le complicanze dell’intervento/trattamento, non avrebbe prestato il proprio consenso. Tale prova potrà essere fornita con ogni mezzo, anche ricorrendo al notorio, alle massime di esperienza o alle presunzioni.

Sul piano eziologico, l’omessa informazione assume infatti, di per sé, un carattere neutro, in quanto ciò che rileva, ai fini di far acquisire efficienza causale all’inadempimento, è l’alternativa dissenso/consenso e quindi la scelta che, in concreto, avrebbe attuato il paziente. Scelta peraltro soggettiva ed insindacabile, che prescinde cioè dalle valutazioni svolte dal medico in ordine alla necessità o all’opportunità del trattamento. Si pensi, in merito, ai testimoni di Geova e alla loro posizione rispetto alle emotrasfusioni.

Su queste basi, la giurisprudenza ha distinto due diversi scenari, delineando -per ciascuno- le specifiche ipotesi di risarcibilità per l’omessa/carente informazione (ex multis, Cass. sent. n. 28985/2019):

  1. il primo scenario prevede che, a seguito dell’intervento/trattamento, il paziente abbia subìto un danno alla salute (rectius danno biologico). In questo caso:
  • qualora vi sia stato un errore nell’esecuzione dell’intervento, il paziente avrà diritto al risarcimento del danno da mancato consenso informato, se riuscirà a fornire la prova positiva del suo dissenso in caso di corretta informazione e, naturalmente, del danno alla salute, che dovrà però essere oggetto di specifica ed autonoma domanda risarcitoria; diversamente, se non fornirà la prova positiva ovvero se emergerà che avrebbe prestato comunque il consenso, anche con un’informazione corretta, sarà dovuto il risarcimento del solo danno biologico, previa prova della condotta colposa del sanitario;

  • qualora invece il danno alla salute non sia stato conseguenza di un errore del medico, ma semplicemente di una complicanza sine culpa, se il paziente fornirà la prova positiva del suo dissenso in caso di corretta informazione, il medico non solo dovrà risarcire il danno da mancato consenso informato, ma dovrà altresì farsi carico anche del danno alla salute, sebbene non correlato ad un suo errore professionale.

  1. Il secondo scenario riguarda invece l’ipotesi in cui il paziente non abbia patito alcun pregiudizio all’integrità psicofisica.
  • In questo caso, mancando un danno alla salute, ma essendovi stata comunque un’omessa o insufficiente informazione, sarà dovuto il risarcimento del solo danno da mancato consenso informato, se il paziente fornirà la prova positiva del dissenso. A livello fenomenologico, la lesione del diritto all’autodeterminazione si sostanzia nelle conseguenze di natura non patrimoniale derivate dalla omessa, inadeguata, o insufficiente informazione, in termini di sofferenza soggettiva e di contrazione della libertà di disporre di se stessi psichicamente e fisicamente.


Come chiarito dalla Suprema Corte, la valutazione dei costi-benefici da parte del paziente, al fine di decidere se prestare il consenso o meno ad un trattamento, non riguarda solo il risultato terapeutico, ma investe anche ulteriori aspetti, quali gli effetti collaterali invalidanti, la durata riabilitazione, il perdurare o il riprodursi di sofferenze dovute a postumi, l’accettazione di eventuali mutamenti irreversibili delle abitudini di vita a cui il paziente si trova del tutto impreparato e senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle.

Sul piano economico, nel 2021, dopo l’analisi di un ampio campione di sentenze sul tema, l’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano ha introdotto i criteri di liquidazione del danno da mancato/carente consenso informato, nei quali sono stati individuati 4 diversi scaglioni, ciascuno con un range liquidatorio, utili per orientare i giudici e la parti. Criteri che vengono seguiti dalla maggior parte dei tribunali italiani.

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Da un punto di vista pratico, la scelta dello scaglione di riferimento dipenderà da diversi elementi, tra cui: l’entità dei postumi e delle sofferenze fisiche e mentali residuate, la condizione di particolare vulnerabilità del paziente, l’urgenza o invasività dell’intervento e le alternative terapeutiche, nonché la gravità della violazione dell’obbligo informativo.

Seppure gli importi possano sembrare contenuti, va ricordato che, nel caso di informazione insufficiente e di danno alla salute conseguente ad una complicanza, l’ammontare per il danno biologico e, più in generale, il danno non patrimoniale residuato al paziente resterà a carico del medico. Ipotesi questa che, nei casi di postumi gravi, condurrà alla liquidazione di somme ingenti.

Da tutto ciò, emerge quindi che l’informazione costituisce un momento decisivo ed imprescindibile nella relazione medico-paziente, anche nell’ottica di rinsaldare l’Alleanza terapeutica.

Su queste basi, il principio già declamato dal codice deontologico e ribadito anche dalla Legge n. 219/2019 in tema di consenso informato - “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura” - assume un valore concreto e solenne.


Cristina Lombardo

Avvocato - Milano